Charles Cros. La grande visione

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Charles Cros è un autore poco conosciuto ma senza dubbio una delle personalità più straordinarie ed eclettiche che abbiano animato la vita culturale della Francia dell’ottocento.

Ha pubblicato alcune raccolte di poesie e nel 1888 il breve poema “La Vision du Grand Canal Royal des Deux Mers” ottenendo poco successo, a parte qualche rappresentazione brillante nei teatri di allora, comunque l’aspetto interessante della sua personalità creativa è stato l’aver spaziato dalla pittura, alla fotografia, sino ai prodromi delle tecniche audio foniche.

Significativo il suo percorso formativo e scientifico. Inizia gli studi di fisica e chimica, lasciati successivamente per dedicarsi alle attività letterarie. Nel 1869 pubblica un trattato dal titolo: “Solution générale du problème de la photographie des couleurs” dedicato allo sviluppo della fotografia a colori, nel quale spiega come l’uso di filtri in vetro di differenti colori rosso, giallo e blu poteva consentire di riprodurre i colori originali della scena fotografata. Purtroppo nello stesso momento un altro studioso, Louis Ducos du Hauron, presentava proposte molto simili e Cros non aveva  difficoltà a concedergli il primato dell’invenzione.

Come inventore Cros non può dirsi fortunato, infatti è ricordato soprattutto per aver quasi inventato il fonografo. Pochi, a quel tempo, avevano pensato di creare un apparecchio in grado di registrare e riprodurre suoni, così inventa  il “Paleophone” (Voix du passé), e nel 1877 lo presenta all’Accademia delle Scienze di Parigi con una lettera che spiega il suo funzionamento. L’anno successivo però Thomas Edison brevetta negli Stati Uniti il suo prototipo.

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Un’altra passione di Cros erano i pianeti e le stelle, avendo notato punti di luce su Marte e Venere, si era convinto che fossero gli indizi della presenza di grandi città evolute e per tale ragione aveva ripetutamente chiesto al Governo francese di poter sviluppare sistemi di comunicazione visiva che potessero connettere il genere umano con quelle civiltà aliene e sconosciute.

L’aspetto sul quale però è opportuno riflettere è il senso complessivo della ricerca di Cros, un poeta che due secoli orsono prova a mettersi in gioco usando quelle che oggi chiameremmo le nuove tecnologie, un uomo che pur avendo i piedi nell’ottocento proiettava la mente nei secoli successivi.

Il poema “La Vision du Grand Canal Royal des Deux Mers” mantiene intatto il valore di questa ricerca antero orientata e, titolo compreso, è una rappresentazione di un grande spettacolo marittimo e terrestre, un incontro tra culture, profumi e odori, un inno prematuro alla multiculturalità.

“…L’aurore étend ses bras roses autour du ciel.
On sent la rose, on sent le thym, on sent le miel,
La brise chaude, humide avec des odeurs vagues,
Souffle de la mer bleue oh moutonnent les vagues.
Et la mer bleue arrive au milieu des coteaux;
Son flot soumis amene ici mille bateaux :
Vaisseaux de l’Orient, surchargés d’aromates,
Chalands pleins de mais, de citrons, de tomates,
Felouques apportant les ballots de Cachmir,
Tartanes où l’on voit des levantins dormir….”
 

Le navi di Cros sono proprio come un ricco sciame di api, portano il grano ai paesi che ne avranno bisogno in futuro e in tempi che si preannunciano difficili. Sono macchine efficienti e invincibili che collegano le terre e il poeta moderno si trova ad esplorare il mondo con loro, prova a usarle e a trasformarle in strumenti poetici. Non a caso Apollinare ne “L’Esprit nouveau et les Poètes” scrive: “Les poètes veulent dater la prophetie, cette ardente cavale que l’on n’a jamais maitrisée. Ils veulent enfin, un jour, machiner la poèsie comme on a machiné le monde.”

Cros, invece, aveva capito che l’ingegneria del mondo, presto, avrebbe fatto volentieri a meno della poesia.

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Al and Al. I sogni delle macchine

 

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Al Holmes e Al Taylor noti al pubblico anche come al and al sono artisti visivi e registi inglesi conosciuti per i loro film di carattere spiccatamente surrealista nei quali riescono a coniugare live action e realtà virtuale e a creare sensazioni oniriche.

Non è facile trovare in giro foto e immagini della coppia, nonostante ormai abbiano raggiunto un certo successo, nemmeno sul web e le loro storie hanno elementi di originalità. Al Holmes, ad esempio, ha trascorso la sua prima giovinezza con un nonno inventore alla costante ricerca di una macchina che potesse generare il moto perpetuo. La strana coincidenza è che il nonno di Al Holmes aveva anche progettato una macchina per fare torte per il nonno di Al Taylor, un premiato pasticciere.

I percorsi formativi dei due artisti, inizialmente, sono molto diversi: Al Taylor studia fotografia e inizia a lavorare nel settore della moda con fotografi come Steven Klein e David Sims, poi, lascia la moda e studia sceneggiatura. Al Holmes, invece, intanto studia teologia e mistica, nel Seminario di Londra e vuole farsi prete. Altre singolari coincidenze, condividono gli stessi tre nomi: Alan James Edwards, come i loro padri, che scompaiono lo stesso giorno.

La produzione artistica di al and al inizia nel 2001 dopo la laurea al Central Saint Martin. Sino ad oggi hanno prodotto un buon numero di filmati che hanno ottenuto premi in molti paesi del mondo e sono stati proiettati durante festival, performances artistiche e alla televisione.

I titoli dei film che hanno avuto maggiore successo sono Anaglyph Avatar (l’anaglifo è una immagine stroboscopica in tre dimensioni), Icarus at the edge of the time, tratto da un romanzo dello scienziato americano Brian Green, Superstitious Robots, una trilogia di short film per la televisione, e The Creator.

Il denominatore comune della loro produzione è una riflessione sulla dimensione macchinica della nostra società e del futuro prossimo. Forse una risposta alla domanda su quello che potrebbe succedere in un mondo abitato solo da macchine pensanti.

Chi tra noi usa il trasporto pubblico, bus e metropolitane, sa che ormai le persone, in questi contesti, parlano molto poco tra loro, in buona parte, verrebbe da dire tutti, se non per una questione di età, costantemente occupati a consultare smartphone e tablet, perennemente connessi con qualcos’altro.

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Recentemente riflettevamo sulla dinamica hegeliana, in sé e per sé, un percorso dialettico che può muovere, o non muovere, l’individuo anche verso una scelta personale di coinvolgimento e partecipazione.

Perché ciò sia possibile bisogna fare i conti con l’entità che è stata definita altro da sé. L’altro da sé è la dimensione della relazione, verrebbe da dire la dimensione della comunicazione e della condivisione. Un effetto relazionale positivo porta l’individuo a condividere un’idea o un progetto e a decidere di farne parte, un effetto negativo no.

Un tempo i rapporti sociali generavano attrazioni/distinzioni emotive verso un’idea, l’immaginazione e la fantasia prodotte dall’esperienza e dalla conoscenza davano un deciso contributo.

Oggi l’altro da sé è in un insieme di relazioni supportate dalla tecnologia. Abbiamo l’impressione che la tecnologia allarghi il campo, amplifichi le relazioni, invece le informazioni e le connessioni vengono selezionate, talvolta inconsciamente proprio da noi stessi, e il campo si riduce a un universo individuale.

Il risultato è che siamo sempre più soli, con i nostri problemi, le nostre discrasie, e abbiamo molta paura di condividere i sogni.

Le macchine intelligenti di al and al invece sono macchine e quindi intrinsecamente pure, nel senso che possono ridurre drasticamente le inefficienze, cioè quella porzione della psiche che normalmente lavora contro e poi hanno acquisito da noi anche la capacità di sognare.

Forse il nostro compito sulla terra si è esaurito, dovevamo creare le macchine intelligenti e sognanti e l’abbiamo fatto con successo. Quando scompariremo, le macchine saranno saldamente al loro posto e finalmente potranno connettersi con la natura, dialogare con gli animali sopravvissuti, con le piante e con tutti gli organismi viventi, rassicurandoli, amandoli e dando loro un futuro.

Grazie alle macchine allora la terra tornerà ad essere il paradiso che era.

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Piero Gaffuri. Blog Notes, guida ibrida al passato presente

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Adesso è in libreria e disponibile anche sui principali portali on line, si intitola Blog Notes, guida ibrida al passato presente, e raccoglie i migliori post pubblicati negli ultimi due anni sulle pagine virtuali di questo blog, il blog Themadjack, non tutti ovviamente e tanto meno quelli che verranno.

Perché Blog Notes è un’istantanea di un processo in divenire con un obiettivo principale: mettere in risalto persone, autori che hanno cercato di innovare il loro mondo e fissare, attraverso un disegno collettivo, gli elementi più rilevanti dei percorsi creativi.

Semplicemente una raccolta di riflessioni e pensieri dedicati al recente passato e alla contemporaneità con un filo conduttore: la rete, Internet e, quindi, con al centro le grandi potenzialità della comunicazione elettronica.

Internet è un universo che inaugura una nuova dimensione spazio temporale, infatti in rete non vi sono limiti di tempo e spazio, di conseguenza anche la scrittura e le immagini trovano accoglienza in un innovativo spazio letterario multimediale ove si modificano le tradizionali forme di espressione, le condizioni di fruizione e si affermano nuove modalità di partecipazione del pubblico.

Storie di rilevanza creativa nei campi delle arti: colori, musica, poesia, racconto, immagini, categorie che includono le esperienze di alcuni grandi protagonisti della cultura attuale e del Novecento capaci di leggere in anticipo i caratteri del futuro proponendo, nel contempo, un’offerta creativa lungimirante e attuale.

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La necessità di usare la rete come strumento di comunicazione per diffondere e condividere percorsi di produzione culturale di qualità, ma anche per garantire la trasmissione della memoria, è la nota di fondo di un lavoro che nasce dalla rete traendo spunto dal blog Themadjack, come cucitura originale di post che, nel libro, divengono prima paragrafi e poi capitoli.

La sequenza dei contenuti, nei capitoli del libro, è coerente alla classifica di apprezzamento dei lettori della rete nelle statistiche delle pagine viste e degli utenti di Themadjack, quindi Blog Notes è un libro costruito anche dai lettori, una specie di collage nel quale la disposizione delle tessere non è per nulla casuale ma ha avuto origine da un movimento collettivo.

Un aspetto centrale nella diffusione di Internet è certamente dato dalle possibilità di partecipazione, in molti casi forme di iterazione creativa e modalità di connessione intellettuale che possono spingere più rapidamente le persone a esplorare il nuovo e l’adiacente possibile.

Mescolando gli elementi della contemporaneità con le esperienze del passato, è forse possibile contribuire, grazie anche ai loro riflessi, allo sviluppo di un modo nuovo di intendere e sentire.

Un racconto vivente della nostra epoca che contiene anche un messaggio di speranza: nonostante le difficoltà e le ansie è sempre bene assecondare il desiderio, puntando, come dimostra la raccolta di storie esemplari, costantemente alla ricerca di esperienze innovative.

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Alexander Calder. Un taglialegna in città

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Qualche giorno fa, in compagnia di un amico, attraversavo un passaggio pedonale con il semaforo verde. Giunti quasi al marciapiede dall’altro lato della strada dovemmo schivare alcuni scooter che, fatta la curva, svoltavano dalla nostra parte. Uno dopo l’altro i conducenti degli scooter giungevano a ridosso del marciapiede seguendo una traiettoria ideale e, la cosa strana, è che parevano assorti in chissà quali pensieri e comunque sembravano schiavi della  loro traiettoria, del tutto incuranti che davanti a loro vi fossero delle persone.

Questo evento mi ha fatto riflettere sul movimento e su quanto oggi il movimento umano sia condizionato da impliciti automatismi piuttosto che da pulsioni naturali. Nel caso dei conducenti degli scooter essi sembravano animati da un moto automatico quasi fossero guidati da un circuito stampato e non riuscissero quindi ad ammettere eccezioni o deviazioni di sorta rispetto al loro programma di guida.

Credo che questi comportamenti siano il risultato di un progressivo e definitivo distacco dell’uomo dalla natura, per cui non conta più ciò che avviene nell’ambiente esterno ma quello che accade diventa automaticamente subalterno a ciò che vogliamo e dobbiamo fare, proprio come in un videogioco dove riusciamo ad aver ragione della complessità puntando esclusivamente su noi stessi. Quando poi, improvvisamente, ci troviamo a misurarci con le espressioni della natura, da un semplice temporale a qualcosa di più grande, ci sentiamo incredibilmente indifesi e perduti.

Non so perché ma queste riflessioni di un primo pomeriggio mi hanno fatto tornare in mente una frase di Alexander Calder, il grande ingegnere scultore, Sandy,  per gli amici e i conoscenti.

A una domanda sul suo lavoro: “Cosa ha esercitato maggiore influenza su di lei, la natura o le macchine contemporanee?” Calder ha risposto così: “La natura. In realtà non ho avuto a che fare con le macchine se si eccettuano pochi meccanismi rudimentali come leve o bilancieri. Si osserva la natura e in seguito si prova a emularla.”

Alexander Calder deve il suo successo come scultore ai mobiles e agli stabiles, i primi sono strutture mobili animate dal vento o da un motore, i secondi sono strutture fisse intorno alle quali camminare ed eventualmente anche da attraversare.

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“Ebbene il mobile possiede un movimento concreto in se stesso, laddove lo stabile è un ritorno alla vecchia idea pittorica del movimento implicito. Devi camminare intorno a uno stabile o attraverso di questo, laddove un mobile danza davanti a te.”

Il senso vero del mobile viene dall’energia esogena che lo scuote e lo anima, forme intagliate dalla mano dell’uomo, plastica, legno, acciaio che prendono vita assecondando il desiderio del vento, è la natura che comanda e guida la danza e la natura predilige la differenza, la disparità, i colori opposti che contribuiscono nel movimento a comporre scenari perfettamente irregolari.

“Sin dagli esordi del mio lavoro nell’arte astratta, e sebbene non fosse allora evidente, credevo non vi fosse per me modello migliore che non l’universo…Sfere di diversi formati, densità, colori e volumi, che si librano nello spazio, circondate da intese nubi e maree, correnti d’aria, viscosità e fragranze, considerate nella loro estrema varietà e discordanza”.

E’ il movimento impercettibile dei pianeti la guida di Calder e insieme l’evidenza del mistero inesplicabile dell’energia che nutre e anima l’universo. In questo contesto di enorme ampiezza Calder si presenta e agisce come un taglialegna, impresa che definisce “assai ardua quanto nobile”, perché il taglialegna è colui che incide il legno della natura, modifica lo scenario naturale, scompone le forme primigenie per produrne altre.

Le nuove forme debbono però preservare e diffondere lo spirito di quelle originarie, la stessa felicità e inquietudine, se sembrano infelici ciò non è attribuibile all’autore bensì “alla loro stessa natura, alla loro personalità”.

Calder non è un ingegnere di ponti e strutture ma semplicemente un meccanico della natura, un artista che scompone le forme e prova a riproporle in modo diverso e nuovo senza andare a modificare la loro intima essenza.

Jean-Paul Sartre così, introducendo i mobiles alla galleria Louis Carré, scrisse: “La scultura suggerisce il movimento, la pittura suggerisce la profondità o la luce. Calder non suggerisce niente: afferra dei veri movimenti viventi e li plasma. I suoi mobiles non significano niente, non rimandano ad altro che non a loro stessi: sono là, ecco tutto; sono degli assoluti”.

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Ray Bradbury. Cronache marziane

Provate a immaginare di viaggiare, con la vostra astronave, verso un altro pianeta del sistema solare. Il pianeta in questione è Marte. Il viaggio procede bene e voi, come i vostri compagni, siete eccitati all’idea di posare i piedi su un suolo così lontano e diverso dalla madre terra.

Finalmente arrivate a destinazione, l’astronave ben pilotata compie le manovre di avvicinamento e atterra dolcemente.

Cercate di scorgere, con grande curiosità, cosa vi sia oltre gli oblò e i finestrini e cogliete con stupore i riflessi di una campagna molto simile a quella che circonda le vostre case. E’ proprio la vostra terra quella che appare sbirciando attraverso i vetri appannati anche se sembra più antica e selvaggia.

Lo stupore aumenta quando, uscendo, notate la stessa luce, i medesimi suoni, gli stessi odori.

E’ il vostro piccolo paese ma non quello che avete lasciato partendo, è il paese di prima, di una volta, il paese di quando eravate bambini e il cemento non aveva ancora fatto il suo orribile lavoro riempiendo i sobborghi di capannoni e brutte costruzioni.

Insieme, raccolti e guardinghi, lasciate l’astronave avventurandovi lungo la vecchia strada, per sentieri erbosi che costeggiano gli argini dei fossi, fino a raggiungere le prime case.

Anche le costruzioni sono le stesse di una volta, riconoscete la scala di legno, l’albero di mele e i rami sui cui andavate a nascondervi nelle assolate giornate estive.

Poi, quando i vostri parenti, uno a uno, escono dalle case e vi corrono incontro riconoscendovi, nonostante i cambiamenti del tempo, correte anche voi lasciando il gruppo e stringendo nonni, genitori, fratelli e sorelle, amici che credevate scomparsi, inghiottiti dal passato.

Forse avete viaggiato nel tempo, certo quel pianeta non è Marte piuttosto la Terra e provate, per qualche istante, a ragionare su cosa stia davvero succedendo ma la felicità è troppo grande e la forza degli affetti violenta.

La sera l’equipaggio si smembra, del resto, ognuno ha una casa che l’aspetta, una magnifica cena servita dalla nonna o dalla mamma e poi, per la notte, il letto accogliente della gioventù.

Prima di prendere sonno solo alcuni riusciranno a spezzare l’incanto e tornando improvvisamente in sé si chiederanno come ritrovare subito gli altri e riunire il gruppo.

Ma ormai è tardi, perché gli ineffabili ospiti, i marziani, avranno facilmente ragione di un equipaggio irrimediabilmente disperso e disarmato.

Ho provato, concedendomi tal volta qualche digressione letteraria, a rendere avvincente la sinossi di uno dei 28 racconti della raccolta “Cronache Marziane” di Ray Bradbury.

I marziani, riuscendo abilmente a penetrare nei recessi delle menti dell’equipaggio terrestre, danno vita a una rappresentazione della nostalgia degli affetti usando un formidabile cocktail di ipnosi e metarealtà. Presentando agli uomini proprio la somma dei prodotti del loro inconscio e del desiderio costruiscono una trappola mortale alla quale nessuno può sottrarsi.

Ray Bradbury, nato in Illinois nel 1920, californiano d’adozione, è stato uno dei più grandi scrittori di fantascienza e purtroppo, solo pochi giorni fa, ci ha lasciato.

Il racconto e il ricorso alle proiezioni dell’inconscio ricorda un famoso film degli anni cinquanta: “Il pianeta proibito”.  Anche nel film un equipaggio di astronauti raggiunge un pianeta lontano e deve fare i conti con mostri invisibili prodotti dalla mente di un professore che abita laggiù da anni: i mostri dell’id. Solo la morte del professore metterà fine allo scatenamento omicida delle angosce della sua mente. Bisogna ammettere che il film continua a mantenere intatta una carica drammatica e avvincente.

Tornando a Bradbury, non c’è alcun dubbio che sia stato un geniale costruttore di trame fantascientifiche e anche, in molti casi, un preveggente almeno sull’uso delle tecniche che traggono linfa dall’intelligenza umana e più genericamente dai meccanismi mentali.

Sarà un caso, ma non vi siete chiesti come mai quando intraprendiamo una ricerca su Google i primi items che escono sono sempre quelli che ci aspettiamo di trovare?

Come un fisico fallito e uno psichiatra pentito sono andati alla ricerca della formula scientifica dell’innovazione e della creatività e non l’hanno trovata, ma hanno scoperto qualcosa di molto più utile e sorprendente divertendosi un sacco. Alessandro Garofalo e Matteo Rampin

 

Il fatto che Alessandro Garofalo, uno dei maggiori esperti italiani di innovazione e creatività applicate ai prodotti, abbia scritto questo libro con l’ ausilio del suo amico psicanalista Matteo Rampin la dice lunga sul personaggio.

Comunque questo libretto dal titolo lunghissimo è molto prezioso perché profondamente onesto dal punto di vista intellettuale, virtù oggi sempre più rara. Meravigliosi i consigli per l’utente.

Primo evitare i guru.

Secondo verificare l’esperienza degli esperti.

Terzo il calzolaio si occupi di calzature; ovvero non impicciarsi di cose che non si conoscono.

Questo sì che vuol dire andare controcorrente, perché oggi siamo pieni di guru e guretti, persino gurette, improvvisati e con un curriculum modesto che pontificano su quello e su questo.

Il libro poi lentamente e con forza assume la dimensione di un utile manuale di orientamento nel mondo della consulenza innovativa per clienti e consulenti. Un manuale sintetico e ricco di tecniche e casi specifici.

Complimenti, non è facile scrivere in maniera semplice e informale di questioni complesse senza correre il rischio di cadere nella banalità.

Il libro si legge senza fatica e ti porta spesso a rivedere i punti chiave per imprimerli bene nella mente.

Bardolino, Rovereto, Venezia, treni, motoscafi, bettole e altri ritrovi di fortuna sono stati utili luoghi di riflessione e hanno anche portato fortuna.

Einstein innamorato. Dennis Overbye

Un libro interessante dal quale si apprende, con un certo stupore, quanto fu importante nella vita e negli studi di Albert Einstein la presenza del “sangue gitano” di Mileva Maric‘, la sua prima moglie. Una donna strana, affetta da un leggero handicap, che passava le notti a comprovare con l’ausilio della matematica le teorie del marito dalle prime esperienze di elettrodinamica, alla teoria della relatività, alla meccanica quantistica.

Come sostiene l’autore, Dennis Overbye, questo libro non è propriamente una biografia di Einstein, perlomeno nel senso comune del termine, è piuttosto una ricerca che tenta di scandagliare il lato umano di uno scienziato che ha cambiato radicalmente la cultura e la vita dei tempi successivi. Ne viene fuori un ritratto singolare.

Einstein era un rivoluzionario, seppure nel suo campo, un uomo totalmente al di fuori degli schemi anche nelle sue scelte private e amorose, un giovane innamorato, renitente alla leva, artista, poeta, musicista e fisico attaccabrighe. La sua fidanzata serba, Mileva appunto, una femminista e anch’essa una studiosa di fisica.

L’impressione che ne viene, dopo una lettura intensa e talvolta impegnativa, per un non fisico, è che forse l’amore ha avuto un ruolo molto importante in quelle scoperte.

Vuoi vedere che anche Dioniso ci ha messo lo zampino?