Quentin Tarantino. Il giardino della casa delle foglie blu

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Kill Bill è una serie di film, composta da due volumi sceneggiati e diretti da Quentin Tarantino. Inizialmente doveva essere un unico film, ma a causa della sua lunghezza, superava le cinque ore, venne diviso in due: Kill Bill volume 1 e Kill Bill volume 2.

Una giovane donna, Beatrix, la Sposa, interpretata dall’attrice Uma Thurman, è vittima di una strage compiuta in una chiesa proprio il giorno del suo matrimonio, incredibilmente rimane in vita e dopo un lungo stato di coma si risveglia; da quel momento il suo principale obiettivo è trovare i cinque responsabili e ucciderli.

Il numero uno della sua “death list five” è O-Ren, interpretata dall’attrice americana di origine cinese Lucy Liu.

Nella residenza di O-Ren, la casa delle foglie blu, avviene un combattimento terribile tra la sposa e le numerose guardie del corpo (gli 88 folli) di O-Ren Ishii (mocassino acquatico) esponente di punta della Yakuza di Tokyo.

La Sposa riesce a uccidere, decapitare, mutilare i soldati e le soldatesse di O-Ren che a folate si lanciano contro di lei, poi rimasta sola nella grande casa va alla ricerca della sua nemica.

O-Ren l’attende all’esterno, nel suo personale giardino d’inverno.

Quando la leggera porta di legno e carta di riso scorre lo scenario cambia completamente.

Appare un tranquillo giardino ricoperto di neve e neve scende leggera e densa nel buio della notte.

Il contrasto tra l’interno della casa e il giardino giapponese è forte, non solo dal punto di vista iconografico, ma soprattutto per ciò che evoca nel rapporto tra realtà e virtualità.

Albert Borgmann nel suo saggio “Informazione, vicinanza e lontananza” sottolinea come in una dimensione reale il dato informativo venga dall’approccio euclideo, un’attenzione alla metrica e alla scansione numerica, mentre nello spazio virtuale gli elementi su cui si basa la conoscenza sono tòpoi, sequenze di segni e simboli che indicano percorsi, connessioni e relazioni.

“Nello spazio tolopologico le distanze sono irrilevanti, contano le connessioni e le continuità”.

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L’immagine del giardino giapponese, così silenzioso, diverso e ricoperto di neve muta profondamente la scansione del racconto, fino a quel momento erano i numeri e il tempo a guidare il movimento, anche lo sguardo dello spettatore, poi, improvvisamente, superata la porta del giardino, le cose, ciò che accade o sta per accadere, rivelano la presenza di proprietà e relazioni che non possono essere comprese se non provando a leggere oltre il segno.

O-Ren lascia i mocassini e si prepara a combattere scalza sulla sua neve, in una condizione in cui mancano tutti i punti di riferimento, in uno spazio simbolico rovesciato ove invece della pacifica forbice del giardiniere ora è permesso il solo lavoro delle lame.

La Sposa ha una tuta gialla orlata di nero, molto simile a quella che indossava Bruce Lee.

Il combattimento inizia come tra due Samurai e parafrasando l’Hagakure, il libro che trasmette per aforismi l’antica saggezza dello spirito del Bushido, avviene non all’ombra delle foglie ma all’ombra della neve.

La Sposa è in difficoltà, sembra avere la peggio, O-Ren sbaglia perché la schernisce, così la sposa si fa acqua e l’acqua è l’unica sostanza che, come il virtuale, non conosce la dimensione del vicino e del lontano, il fiume scorre e l’acqua è sempre la stessa: alla fonte, nel torrente, nel fiume, alla foce e in mare.

Quando la Sposa diventa acqua smette di pensare e quindi non ha più paura e non prova dolore, l’acqua si adatta a tutto, il suo è lo spazio del sentire.

O-Ren muore, un colpo di spada le toglie di netto lo scalpo e le scoperchia il cranio, liberandola per sempre dai buoni e dai cattivi pensieri.

Il giardino giapponese di Quentin Tarantino offre una sintesi di metafore che attengono alla sostanza dei concetti di vicinanza e lontananza, infatti non c’è nulla di più vicino e di più lontano di un giardino giapponese sotto il profilo delle emozioni e del simbolismo. Il giardino richiama la casa, gli affetti, la vicinanza ma al tempo stesso invoca la lontananza, il mistero dell’origine e della vita, quindi categorie concettuali che confondono e talvolta spaventano.

I segni naturali spesso hanno più forza dei segni convenzionali e intenzionali, ma la vera differenza sta nella difficoltà di comprendere le relazioni che esistono tra un piccolo lembo di terra e l’immensità inconoscibile dello spazio naturale.

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